Itinerari in città
Le piazze delle antiche fiere e i palazzi signorili del centro
La piazzetta Chiarino, da cui inizia l’itinerario proposto, era in un recente passato arricchita dall’ antica chiesa duecentesca di S. Giustino della villa di S. Giustino di Paganica, demolita nel 1932 e dedicata dal tempo della costruzione del Castello anche a S. Martino parrocchia degli abitanti del Castello di Chiarino il cui locale si trovava dove ora è il castello cinquecentesco. Sulla piazza la bella facciata del palazzo Antinori con bel portale sormontato da una elegante balconata e finestre del piano nobile che alternano incorniciature del tipo a timpano curvilineo a quello spezzato con punta rivolta verso l’alto. La facciata presenta inoltre motivi decorativi settecenteschi e cornici marcapiano. Il palazzo è riferibile alla seconda metà del ‘700. Annali e Corografia sono le due grandi opere storiografiche di Anton Ludovico Antinori cui dobbiamo gran parte della documentazione disponibile sulla storia dell’Abruzzo.
I manoscritti per chi avesse interesse a consultarli, sono conservati presso la biblioteca provinciale Salvatore Tommasi ( portici del Liceo).
Si scende lungo via S. Martino ammirando l’andamento della strada medievale e le case con orti murati. Di particolare pregio la casa con loggia edificata dalla ricca famiglia di Iacopo notar Nanni. Al termine della strada si raggiunge via Bafile avendo di fronte la porta laterale della chiesa del Gesù qui collocata in data imprecisata dopo il 1703, adornata da un frammento scultoreo in stile gotico –fiorito che apparteneva al battistero della cattedrale.
Gli isolati che si affacciano su via Bafile appartenevano alla famiglia Quinzi, sia quello su cui sorge ora l’omonimo palazzo, sia quello su cui sorge il complesso gesuitico.
Il palazzo Quinzi è attribuito a Francesco di Accumuli, allievo di Carlo Fontana, cui si deve la sistemazione nel 1705 di S. Pietro in Vincoli e dell’interno della chiesa dei SS. Apostoli a Roma; la struttura del palazzo richiama l’architettura romana manieristica di fine ‘500-‘600 ripresa ad Aquila fino all’inizio del ‘700. Viene definito dal Moretti “ un esempio di monumentale solidità e di insolita robustezza per la particolare contraffortatura alle parti estreme dell’edificio” poderoso il cornicione e significativi gli aggettanti timpani delle finestre; raro il protiro che protegge l’ingresso.
La famiglia Quinzi si afferma tra le più ricche dell’Aquila dalla seconda metà del ‘500, saranno i baroni di Preturo e Coppito e anche proprietari alla Forcella, oltre che commercianti di zafferano. Non si sa molto sul palazzo che preesisteva nel ‘600 a quello attuale, ne rimane soltanto il portale che fu applicato nel 1736 alla chiesa di S. Paolo di Barete e che apparteneva al palazzo di Luigi Eustachio che lo lasciò alla chiesa alla sua morte.
Di fronte a palazzo Quinzi il palazzetto risalente all’inizio del XIX secolo costituisce l’esempio più compiuto ad Aquila di questa architettura eclettica; le influenze delle decorazioni sono cinquecentesche e seicentesche e si inserisce nel complesso architettonico dei Gesuiti.
Si raggiunge in breve l’Annunziata per osservare su via dell’Annunziata, nei pressi del portale cinquecentesco del Fonticola, le superstiti monofore medievali con arco a tutto sesto in pietra, resti delle antiche case sostituite dall’attuale costruzione nel ‘600. Queste case, in origine, erano separate a piano terra dal tratto di via Forcella chiuso(1634) al momento della costruzione del complesso gesuitico. Ne restano visibili “due arcate a tutto sesto” vestigia dell’Aquila medievale.
Si ritorna verso piazza S. Margherita il cui nome deriva dall’antica chiesa degli abitanti della Forcella; da osservare, prima di raggiungere la piazza, la zona absidale della chiesa che si presenta piatta, senza absidi così come “temporaneamente” sistemata al momento della costruzione seicentesca. Il progetto prevedeva una zona presbiteriale e absidale più articolata con costruzione di una cupola sul presbiterio
Uno dei lati della piazza è occupato dal palazzo Pica-Alfieri: Ludovico Alfieri nel 1685 lo acquista per 1700 ducati da Bartolomeo Berardi da Fossa come procuratore di Maffeo Barberini principe di Palestrina. Dopo circa 40 anni il fratello Adriano gli dà l’attuale forma databile alla prima metà del ‘700. Caratteristico l’ingresso con due portoni incorniciati da quattro colonne che sostengono la balconata. Il palazzo è tra i primi saggi del barocco aquilano ancora con influenze manieristiche. Ha aspetto monumentale sia per i portali, sia per l’incorniciatura delle finestre e la forma delle mensole, sia per le decorazioni dei cornicioni. All’interno il cortile è ampio e ben conservato come lo sono i vasti saloni al 1° piano. Nella sede dell’attuale palazzo era presente una importante struttura architettonica già da due secoli e mezzo come dimostrano documenti di archivio e alcuni elementi quattrocenteschi conservati nella struttura.
La fontana ottagonale a vasca che si trova nella piazza risale al 1588 e ha forme rinascimentali. Era ubicata in piazza Palazzo e fu rimossa per far spazio al monumento a Sallustio.
Oltre la fontana, vicino al palazzetto dei Nobili, orna la piazza la statua del 1675 di Carlo II quattordicenne, ultimo sovrano asburgico di Spagna e del regno di Sicilia. La statua raffigura il sovrano con l’armatura in ferro e la spada, nel piedistallo sono scolpite epigrafi latine, l’arme del re, dell’Aquila e del viceré di Napoli. Sul basamento, sul lato verso i Gesuiti è iscritto il nome dell’artista M. Caninius Ro. FAA cioè Marcantonio Canino scultore romano. Il monumento in origine si trovava in altro luogo vicino e fu sistemato come è oggi in seguito a un restauro di palazzo Margherita e delle vie circostanti in epoca non precisata.
Il collegio dei Gesuiti fu inaugurato nel 1596 con la consegna da parte della città ai Gesuiti dei due paralleli blocchi edilizi della Camera. Nel 1597 iniziarono i necessari acquisti per ampliare la proprietà e costruire il complesso oggi esistente. Solo nel 1636, dopo aver acquistato le case e i giardini dei Quinzi che si trovavano tra la chiesa e l’Annunziata, ebbe inizio la costruzione della chiesa stessa. Nel 1634 era stata data dalla città l’autorizzazione a chiudere definitivamente la via Forcella che separava la chiesa dal collegio e che costituiva confine tra il locale di S. Vittorino e quello della Forcella. Sulla muratura del campanile è ancora presente una finestra quattrocentesca dell’antico palazzo Camponeschi e più in alto una cornice a cordone, trecentesca.
L’attuale severo palazzo, sede della facoltà di Lettere, prende all’interno luce dall’ampio giardino su cui affacciano loggiati in parte oggi tamponati. La facciata più importante è quella che dà su via Camponeschi (nata dopo il palazzo) in linea con la facciata della chiesa. Le decorazioni architettoniche sono riferibile alla seconda metà del XVIIIesimo secolo; bello il lineare portale inquadrato da una lesena e da un pilastro che raggiungono il tetto e la fila di finestre su due ordini con diversa forma dei timpani ; si osserva inoltre un diverso tipo di cornicione tra il tratto relativo al portale e il resto del palazzo che è di tipo barocco. Il palazzo segue l’andamento del terreno. Come già detto di particolare interesse è la parte adattata a campanile che è ciò che resta dell’antico palazzo Camponeschi.
La chiesa ebbe vari progetti, quello infine eseguito, anche se non in modo completo, era del gesuita Agatio Stoia., la costruzione si protrasse per molti anni nella seconda metà del ‘600, nel 1662 l’antica chiesa di S. Margherita era stata distrutta, nel 1692 infine si chiuse la parte absidale, così come oggi si vede, in attesa di poter proseguire con la costruzione di un’area presbiteriale cupolata. Il 1703 non portò gravi danni e le opere di aggiustamento e decorazione plastica si sovrapposero nei primi anni del ‘700. La facciata in grezzo non finito ha assunto secondo l’Antonini valore urbano e ben si sposa con i palazzi civili della piazza, in particolare il prospetto seicentesco del palazzetto dei Nobili e primo settecentesco del Collegio, ottocentesco di palazzo Margherita e settecentesco di palazzo Pica-Alfieri. L’interno è monumentale e grandioso con una sala centrale coperta da volta e botte con lunette per la luce e tre cappelle laterali separate da intercolumni dati da paraste corinzie scanalate, trabeazione e archeggiature classiche utilizzate all’Aquila per la prima volta in una chiesa.
La costruzione avvenne circa 70 anni dopo il Gesù romano, ma si rifaceva alla tipologia chiesastica dell’Ordine anche se con una architettura più semplice .La decorazione plastica è sei-settecentesca e può definirsi barocca con influenze romane, mentre l’impianto architettonico è di tipo classico- manieristico ancora cinquecentesco appartenete a maestranze settentrionali lombarde. La sacrestia si trova nel vano ricavato nel ‘600 nel corridoio tra collegio e chiesa risultato dalla chiusura di via Forcella . L’ambiente con volta carenata e lunettoni presenta nella parete di fondo un bel disegno architettonico a rettangoli e archi che immette in un secondo vano con pseudo cupola.
Piazza Palazzo
Era ed è ancora il centro politico della città e all’inizio del ‘300, grazie a un diploma di Carlo II, vi si svolgeva il martedì pubblico mercato in aggiunta a quello che ogni sabato si teneva nella piazza grande.
L’antica piazza era dominata dalla chiesa di S. Francesco, antichissima e attestata dal 1256, distrutta dal terremoto del 1349 e con le macerie usate per costruire porta Leoni, fu ricostruita con una facciata in pietra bianca e rosa di S. Silvestro a fine ‘400. I Pica vi costruirono la cappella del Presepe accanto a quella di S. Bernardino con la natività del 1501 di Giacomo di Paolo da Montereale oggi al Museo Nazionale d’Abruzzo.
Nel ’300 il palazzo del Capitano sorgeva in via delle Aquile. Di questo palazzo si hanno poche notizie, nelle cantine si trovavano le carceri e da qui si entrava nella torre civica attraverso un passaggio sotterraneo, per raggiungere la cappella intitolata alla Madonna degli Angeli dove i condannati venivano confortati prima dell’esecuzione. Le pareti della cappella vennero affrescate dal pittore aquilano Gian Paolo Cardone con una pianta della città non più visibile e con le figure dei Santi protettori disposti verticalmente due per lato.
Seguiva nel ‘300, a livello dell’attuale palazzetto dei Nobili, la Camera Aquilana destinata alle adunanze cittadine e confinava con altro palazzetto per la residenza del Camerlengo e per l’Amministrazione Comunale L’ingresso alla sede del Magistrato era sul lato oggi su via Camponeschi; vi si nota un ricco portale rinascimentale, con architrave con due delfini e un’aquila, stemma della città. Tale palazzo fu poi acquisito dal municipio per la sede del Magistrato, ma nel 1596 fu subito dato ai Gesuiti mentre il Magistrato si trasferiva nel palazzo di Margherita d’Austria.
La Torre di Palazzo
In base a notizie riportate dal Mariani
<<E’ noto che il più antico esemplare dello stemma cittadino è costituito da un’aquila scalpellata in pietra , posta alla base della torre civica di Piazza Palazzo. ..Esisteva questa torre prima dell’ampliamento della città ( 1254). E’ nel 1310 che il capitano Francesco di Crescenzo, la fè compiere ben alta e isolata davanti al palazzo stesso e vi fè apporre una iscrizione , non ben capibile i caratteri, la quale fu interpretata così: In dei domine amen, anno Domini 1310 regnante dominio nostro Rege Roberto, tempore Francisci De Crescentio capitanei Aquilae hoc opus factum”
Nel 1374 il capitano Tomaso degli Albizi fece costruire in questa torre l’orologio e vi volle la spesa di mille e trecento fiorini. Tali orologi erano in Italia di nuova invenzione ( subito dopo quelli di Firenze e Ferrara) che ancora oggi suona i 99 tocchi…>>
<< ..il 4 settembre 1837 alle ore 16 un impetuoso vento fè cadere da questa torre l’aquila di piombo presagio dell’imminente demolizione della torre ed in effetti al 12 gennaio 1838 si levò l’orologio e si diè principio a demolire.. Al 14 agosto ..la campana vi fu fissata e a mezzogiorno vi fu suonata con allegria di tutta la popolazione. Al 6 ottobre fu rupristinato l’orologio con illuminazione>>
La torre che aveva già subito delle modifiche in altezza in seguito a terremoti, fu ancora abbassata nel 1838 perché lesionata e la parte superiore fu sostituita da un terrazzino e da un’edicola come ancor oggi si può vedere. Nel 1901 sotto l’antico stemma fu collocata la grande lapide dedicata a Giuseppe Garibaldi.
La Torre conserva dell’epoca medievale i tre ripiani e mezzo nei quali è suddivisa da cornici marcapiano costruiti in conci lapidei di calcare locale probabilmente tra il 1254 e il 1374. Sulla facciata principale sono applicati, scolpiti in pietra, lo stemma di un capitano spagnolo, lo stemma di Carlo V re di Napoli e di Spagna e l’arme della città che nel ‘600 sostituirono i più antichi.
Sulla parete della Torre che guarda il palazzetto dei Nobili, sotto la penultima cornice marcapiano è murata una figura di donna, scolpita in pietra, avente un giglio nella mano destra e una serpe in quella sinistra con una cornice di coronamento costituita da pezzi di pietra, irregolari, di sconosciuta provenienza. Rappresenta lo stemma di Cascia e potrebbe quindi riferirsi al Capitano Leone di Ciccio da Cascia che ultimò la costruzione delle mura cittadine nel 1316. Forse furono recuperate dalle mura in epoca imprecisata, come pure imprecisata è l’epoca in cui furono inserite nella torre .
La torre civica fu incorporata nel palazzo edificato nel 1573 per Margherita d’Austria, duchessa di Parma, figlia di Carlo V, eletta governatrice d’Abruzzo dal fratello Filippo II re di Spagna.
L’orologio
Alla fine dell’800 l’antico orologio che fu cantato anche da Buccio, fu sostituito in quanto non più funzionante. I rintocchi dell’orologio nel ‘300 segnavano le ore e i 99 rintocchi per ricordare i castelli fondatori. I rintocchi davano inoltre il segnale per la chiusura delle porte cittadine e delle taverne oltre che per l’inizio del coprifuoco, cioè l’ora in cui i cittadini non forniti di fiaccola o di lume, dovevano rientrare nelle case.
Le Campane
Nel trecento la torre aveva una grande campana (il Campanone) che secondo il Cirillo, storico aquilano, non aveva uguali in Italia del peso di 22.000 libbre, il cui suono poteva essere udito a 18 miglia di distanza per poter chiamare a raccolta gli abitanti dei Castelli in caso di pericolo o a parlamento.
Alla fine del ‘300 oltre al Campanone si ha notizia di altre quattro campane e cioè: la campana della Giustizia o della Sentenza che suonava durante le esecuzioni capitali, la campana dell’orologio, la Reatinella una piccola campana rubata dai Reatini nei dintorni dell’Aquila nel 1313 e recuperata dagli Aquilani sette anni dopo, la Frascarola trafugata dagli Aquilani a Rieti nel 1376.
Queste campane, ad esclusione di una delle più piccole necessaria per l’orologio, vennero requisite dagli Spagnoli dopo la ribellione degli Aquilani e fuse per costruire le artiglierie del Castello eretto per reprimere l’audacia della città..
La campana della Giustizia e la Reatinella vennero buttate dalla Torre il 16 febbraio 1545, quella grande due giorni dopo. Il campanone fu fatto scendere all’interno della torre e buttato a terra da un’apertura praticata nella parete, non si ruppe e fu fatto a pezzi dopo essere stato portato al Castello con le altre campane.
Imbocchiamo via Patini per raggiungere la piazza del Duomo, subito dopo l’incrocio con via Sallustio, a destra, si può visitare il museo Signorini Corsi che ben documenta gli stili dei palazzi signorili aquilani.
La piazza del Mercato
Da sempre luogo di fiere e mercato, per alcuni storici si potrebbe trattare dell’antico foro di Priferno, antica città romana di cui non si conosce la precisa localizzazione. Si tratta solo di un’ipotesi non ancora suffragata da prove, ma è certo che lo spazio particolarmente ampio, in declivio verso il Duomo, non è stato mai abitato, né è considerato parte di uno dei quarti in cui è divisa la città. Un luogo intorno a cui, quindi, si è formata ed è cresciuta la città, un luogo di scambi e di commerci, chiamato foro ancora in molti documenti del ‘300 per la sua funzione commerciale e di incontro.
Nella piazza, ancor oggi, del mercato, si trovano il Duomo dedicato ai Santi Massimo e Giorgio e la barocca chiesa di Santa Maria del Suffragiodetta “delle Anime Sante”. Il duomo è oggi il monumento che si è formato durante la lunga ricostruzione seguita al terribile terremoto del 1703. Di quello originario di fine duecento non resta nulla, mentre sulla fiancata laterale destra, su via Roio, si possono ancora osservare i resti della chiesa trecentesca nata dopo il terremoto del 1315 con la parete interamente rivestita in conci di pietra levigata. Per il resto la chiesa ha l’architettura definita nel ‘700 con i successivi interventi dei secoli successivi fino al compimento della facciata nel 1928. L’interno è articolato su un’aula rettangolare molto allungata coperta da volta a botte con cappelle laterali e area presbiteriale arricchita dallo splendido coro ligneo di Ferdinando Mosca del 1732. Da ammirare, oltre le più recenti opere d’arte presenti nella chiesa, i resti del monumento sepolcrale del cardinale Agnifili di Silvestro dall’Aquila e la sacrestia risalente al 1580. Una delle porte dell’antico battistero, oggi distrutto, si trova sulla parete laterale della chiesa del Gesù, mentre all’interno si possono ammirare entrando a sinistra i resti del sarcofago paleocristiano del vescovo di Forcona Albino, successivamente inglobato nel sepolcro del vescovo Donadei del ‘400.
La doppia denominazione della chiesa è ancora oggetto di discussione: tra le ipotesi l’Antonini, ad esempio, propende per la costruzione del primo tempio dedicato al martire S. Massimo a metà del ‘200 su una chiesa già intitolata a S. Giorgio ( forse l’attuale S. Giusta).
Su via dell’Arcivescovado si può osservare il palazzo de Nardis che conserva portali e alcune finestre risalenti al ‘400 e in via Simeonibus ( dietro il palazzo delle Poste) le cosiddette Cancella, botteghe quattrocentesche che si affacciavano sulla piazza del mercato, spostate in occasione della costruzione del palazzo delle Poste. La facciata dei quattro piccoli edifici presenta l’ingresso dell’abitazione che si raggiungeva con una scaletta oggi non più esistente e l’ingresso della bottega con il bancone di vendita in pietra.
Imbocchiamo corso Federico II così sistemato a fine ‘800, caratterizzato dai Portici, luogo di incontro cittadino, e da palazzi signorili come quello al numero civico 9 che presenta un cortile con altana di particolare pregio architettonico e come il palazzo Fibbioni ai Quattro Cantoni.
Da qui si prosegue su Corso Vittorio Emanuele II.
La strada dritta alle mura si concludeva, secondo la carta del Pico, con una fontana e con la chiesa di S. Giovanni di Camarda subito prima del ripido pendio che conduceva alla porta di Paganica interrata dagli spagnoli, era una antica strada su cui si trovavano fino almeno alla metà del ‘400 case ingenti tra cui quella dei Pica ( vedere n° 103-105). Dopo la costruzione del Castello e il sovvertimento di questa parte della città la strada offriva il collegamento dell’imponente costruzione con la città.
La casa al n° 103/105 conserva al II° piano finestre medievali con bifore in arco a tutto sesto, mentre sono scomparse le originarie colonne. E’ raro il motivo di queste finestre che hanno un oculo al centro sotto l’arco, i dettagli decorativi e architettonici sono riferibili al XIVesimo secolo con rielaborazioni del ‘400.
Al numero civico 111 palazzo Burri Gatti che si distingue per il portale d’ingresso riferibile alla metà del XVesimo secolo ornato con stemma a nastri svolazzanti; la ristrutturazione è tardo settecentesca. Si entra nel cortile tramite un androne, la struttura si caratterizza per le arcate su due lati con colonne a fusto liscio e capitelli corinzi, mentre sugli altri due lati si svolge lo scalone, al primo piano si trova l’altana. Più volte rimaneggiato, è databile alla seconda metà del ‘400.
Si giunge così a piazza Regina Margherita definita da palazzi seicenteschi. La fontana del Nettuno che vi si può ammirare, fu costruita utilizzando le pietre bianche e rosa dell’antica chiesa di S. Francesco che si trovava in piazza Palazzo.
Nella piazza affaccia, tra gli altri, il palazzo Paolantonio con risvolto su corso Vittorio che vanta un pregevole cortile rinascimentale. I prospetti sono riferibili al XVIIesimo secolo con vistose modifiche ottocentesche, notevole il portale, le ampie finestre sono incorniciate in stile classico, la cornice marcapiano e il cantonale sono in pietre squadrate. Il cortile è raro a L’Aquila perché porticato sui quattro lati, con colonne con fusto liscio e capitelli gotico -rinascimentali, arcate a tutto sesto, volte a croce. E’ uno dei cortili che più mostrano l’evoluzione dell’architettura aquilana, oltre la cancellata d’ingresso è visibile un giardino (portone in genere aperto in orario d’ufficio).
Si imbocca via Garibaldi e dopo un breve tratto si gira a sinistra in via Paganica. In angolo tra le due vie l’isolato Ardinghelli con le costruzioni della fase seicentesca. Da notare il poderoso angolare faccia a vista a la cornice marcapiano, le finestre con cornici ancora classiche e i davanzali sorretti da coppie di eleganti mensoline, le finestre quadrotte e al di sotto le aperture di epoca posteriore. In un cortiletto interno sono visibili i resti delle costruzioni medievali e in particolare un portale archiacuto e una finestrella databili al XIV secolo.
La piazza di S. Maria Paganica è definita oltre che dalla parte laterale della chiesa con l’antico portale databile al ’200, da palazzo Ardinghelli e dal palazzetto Colantoni esempio di costruzione quattrocentesca.
Ci dirigiamo su via Accursio e di fronte all’abside della chiesa osserviamo la facciata di palazzo Benedetti Carli che conserva uno dei più importanti cortili rinascimentali ( visitabile). La struttura è perfettamente equilibrata con archeggiature sorrette da alti colonnati con fini capitelli corinzi; importante è anche il portale d’ingresso interno incorniciato da colonne scanalate che sorreggono una trabeazione con motivi decorativi di tipo classico e che immette allo scalone. Sulla facciata si osservano tre finestre quadrotte con cornice e incisione a punte di diamante e al di sopra finestre rinascimentali che appoggiano direttamente sul marcapiano sempre lavorato a piccole punte di diamante. Un imponente cantonale in pietra collega la facciata con quella di via Mazzini su cui si trovano finestre quadrotte adattate in forma rettangolare, al di sotto ve ne sono altre presumibilmente più antiche fatte con semplici blocchi smussati, su questa facciata è visibile una muratura con pietre squadrate, un portone trecentesco ad ogiva ( n 4) con uno stemma con scudo forse dei Carli.
Di fronte si può ammirare una delle più antiche case aquilane, la casa di Buccio, che risale al XIV secolo e, subito dopo il chiassetto del Campanaro, l’imponente torre campanaria di S. Maria Paganica e nei pressi una bella casa quattrocentesca.
Si continua in discesa via Accursio fino a giungere in via Bominaco che si imbocca a destra.
In questa strada si trova è la casa di Iacopo di Notar Nanni realizzata nella seconda metà del ‘400, posta al centro di una vasta proprietà immobiliare di cui restano varie tracce come gli stemmi di famiglia. La facciata presenta un’altana con archi a tutto sesto su colonnine con capitelli classici, sull’angolo lo stemma della famiglia con al sommo una testa d’angelo che è stata avvicinata stilisticamente alla bottega di Silvestro dall’Aquila. Al piano nobile si conservano una cornice marcapiano del genere a tortiglione, finestre bifore gotico -rinascimentali, portali di stile ancora medievale in contrasto con le decorazioni già rinascimentali dell’altana, su uno dei portali si noti lo stemma della casata costituito da due torri inquadranti il monogramma bernardiniano ( il castello scolpito nel concio centrale è quello di Civitaretenga da cui nel ‘400 venne in città il notaio chiamato Nanni). All’interno un interessante cortile che si può visitare chiedendo presso il ristorante che oggi si trova nell’antica casa.
Al termine di via Bominaco si risale brevemente via Paganica per ammirare il palazzo che occupa l’isolato tra via Bominaco e via Collepietro ( proprietà dell’Università). La costruzione risale alle origini della città con elementi trecenteschi su via Paganica e rielaborazioni nel XVIesimo secolo come evidenziano parte delle incorniciature e la parte inferiore del bel cortile porticato con arcate a tutto sesto. Il monumentale scalone copre una delle campate rinascimentali e risale al XVIIIesimo secolo, della stessa epoca le larghe mostre delle finestre del 1° piano. Sulla facciata in via Paganica si osservano finestre di tipo classico e quadrotte al pian terreno. Il portale che dà accesso al cortile è settecentesco come le finestre, quello su via Bominaco è caratterizzato da una cornice a bugne rilevate.
Si imbocca la vicina via S. Benedetto in Perillis, anch’essa caratterizzata da antichi palazzi e cortili (non visitabili) e si raggiunge nuovamente via S. Martino che si è percorsa all’inizio dell’itinerario.